Etica e antropologia

La persona

Per Rosmini il termine «persona» in senso proprio non è sinonimo di «essere umano». La personalità è piuttosto uno degli elementi (o dei «principi») che costituiscono l'uomo, ed è esattamente il principio supremo delle operazioni umane, il principio a cui tutti gli altri sono subordinati. Come in un regno vi sono dignitari di diverso livello, ciascuno dei quali può muoversi liberamente finché non riceve comandi da un dignitario di ordine superiore, e tutti devono portare uguale obbedienza ai comandi del sovrano, così è nel caso del microcosmo umano. L'uomo è un regno di mirabile varietà e complessità: un osservatore distratto o superficiale potrebbe essere indotto a ritenere che tale molteplicità sia irriducibile ad una superiore ed unitaria sovranità. Eppure questa sovranità esiste e si concentra appunto nella personalità.
Nei suoi numerosi studi di carattere antropologico e psicologico Rosmini svolge una dettagliata ricerca sulle caratteristiche e le proprietà degli esseri umani. Ne esce un quadro ricchissimo di «princìpi della natura umana» (animalità, spiritualità, soggettività) e di «princìpi dell'azione umana» (forze materiali, vitalità, sensitività, istinto, intelligenza, volontà, libertà). La conclusione è che la persona vale comunque più delle sue capacità e delle sue funzioni, anche delle più elevate. Intelligenza, volontà, libertà possono indebolirsi, interrompersi, venir compromesse. La persona, invece, è una permanenza «ontologica»: essa, per usare il lessico rosminiano, è «base», «fondamento», «soggetto», «principio» di intelligenza, volontà, libertà. Questi termini, apparentemente ridondanti, vogliono mettere in chiaro che la persona non è l'individuo «di fatto» libero e responsabile (in questo caso, un dormiente, un neonato, un pazzo non sarebbero persone), ma è il «soggetto» permanente che sta alla «base» di quelle operazioni, il cui esercizio può anche essere compromesso.
Nella Filosofia del diritto Rosmini difende con forza il riconoscimento della personalità (e della conseguente titolarità di diritti) a chi sembra privo di coscienza, di intelligenza, di libertà. La personalità non risiede, come si è detto, nel compiuto dispiegamento delle facoltà spirituali, ma nel loro «principio», nell'«atto essenziale» (o «atto primo») dell'intelligenza umana, e - dice Rosmini - «non v'ha né pazzo, né imbecille, né ubbriaco, né bambino, che di quell'atto sia privo». Tant'è che tutti costoro hanno, sia pure talvolta sconnesso e incerto, «un qualche uso» della ragione e della volontà, di cui perciò è indubitabilmente presente in loro il «principio». Per Rosmini, «acciocché l'uomo [...] abbia diritto in generale di essere rispettato qual fine, basta ch'egli abbia le potenze della ragione e della volontà, anche considerate come potenze atte [soltanto] a soffrire ed a godere» (Filosofia del diritto, I, n. 41, p. 189).
Per Rosmini dunque, laddove vi è possibile esperienza umana della sofferenza o della gioia, quali che siano i livelli di intelligenza o di volontà presenti, lì vi è a pieno titolo la «persona».
(M. DOSSI, Il santo proibito. Il Margine, Trento 2007, pp. 107-109)

- Filosofia del diritto, a cura di Rinaldo Orecchia, 6 voll., Cedam, Padova, 1967-1969