1823-1826

Il panegirico di Pio VII e il trasferimento a Milano

Nel 1823 accompagnando a Venezia l'amico monsignor Grasser per la sua consacrazione a vescovo di Treviso, conosce il patriarca Ladislao Pyrker, che lo invita a seguirlo a Roma. Durante il soggiorno romano fa conoscenza con due cardinali che in seguito diventeranno papi: Pio VIII e Gregorio XIV. Ma l'incontro che lo segna maggiormente è quello con l'anziano Pio VII, che lo incoraggia a proseguire gli studi filosofici e sarà anche l'inconsapevole causa dei suoi primi guai.
Alla morte di Pio VII (1823) anche a Rovereto vengono organizzate solenni celebrazioni in suo suffragio: il compito di ricordarne la figura e l'opera viene affidato a Rosmini che nella chiesa di S. Marco conclude l'intenso panegirico con un appassionato appello all'Italia, perché, sulle orme tracciate da Pio VII, riscopra la propria dignità e ritrovi nella propria cultura, profondamente cristiana, la forza e le virtù per affrontare il futuro. La stampa del Panegirico incontra ostacoli di ogni genere: la forte riaffermazione dell'autonomia del papato nei confronti dell'autorità politica suona stonata all'imperatore Francesco I, che crede suo diritto e dovere interferire negli affari della Chiesa. Il nome di Rosmini finisce così nell'elenco delle persone «sospette» che la polizia austriaca tiene sotto controllo.
Sul finire del 1825 - ne aveva parlato quattro anni prima con la marchesa di Canossa, che lo aveva invitato a realizzare in campo maschile ciò che lei aveva già fatto in quello femminile con l'Istituto delle Figlie della Carità  - inizia a coltivare un'idea che diventerà uno degli scopi principali della sua vita: fondare un nuovo Istituto religioso che abbia come anima e fine la carità.
Continua anche a pensare alla grandiosa Enciclopedia, monumentale compendio del sapere indagato e organizzato alla luce del messaggio cristiano. In filosofia va meglio precisando il piano di un'opera dedicata alla metafisica, che ha come suo oggetto ciò che sta alle radici ultime dell'essere, oltre l'esperienza e i confini dell'immediatamente visibile. Mette mano alla preparazione di un' opera teologica e inserisce la storia come argomento della sua ricerca pensando di scrivere un trattato che ripercorra e interpreti le varie stagioni dell'umanità.
Nell'orizzonte dei suoi interessi fa capolino anche la politica, soprattutto il problema di come conciliare nuovo e vecchio, esigenze di ordine e stabilità con necessità di riforme. A questi interrogativi risponde con un'opera ispirata ad una visione cristiana, perchè senza il cristianesimo e la Chiesa non può esservi un'autentica civiltà.
Nel frattempo i confini di Rovereto sono diventati troppo angusti per un uomo alle prese con grandi pensieri e progetti. Rosmini avverte il bisogno di nuovi strumenti di consultazione e la necessità di dialogare, direttamente e non attraverso lo scambio epistolare, con persone sempre più colte e preparate. Sceglie quindi di trasferirsi a Milano (1826) dove ha come punto di riferimento il cugino Carlo, uno storico in grado di aprirgli le porte dei salotti buoni della città. Qui fa conoscenza con due personaggi che incideranno profondamente nella sua vita: il conte Giacomo Mellerio, vice governatore di Milano al quale lo accomuna una grande sensibilità religiosa e sociale, e Alessandro Manzoni, che in segno di stima e profonda amicizia gli farà leggere in anteprima i Promessi sposi, il romanzo della Provvidenza col quale Rosmini si ritrova in perfetta sintonia.

<< 1816-1822  Gli studi universitari padovani  e l’ordinazione sacerdotale

>> 1827-1833  Il Sacro Monte Calvario e la fondazione della "Società della Carità"