1834-1836

Incarichi pastorali: la parrocchia roveretana di S. Marco e la Sacra di S. Michele

Mentre a Trento è alle prese con i problemi e la chiusura della casa della Prepositura, a Rovereto muore l'arciprete della parrocchia San Marco e dietro ferma richiesta dei suoi concittadini roveretani il vescovo Tschiderer lo nomina arciprete di S. Marco, pensando che la cura di una comunità parrocchiale lo avrebbe distolto dal continuare a dedicarsi all'Istituto.
Il 5 ottobre 1834 Rosmini fa il suo ingresso in parrocchia e dimostra subito, anche in questo nuovo impegno pastorale, lo stile che lo caratterizza in ogni attività. Non lascia nulla al caso: nelle opere caritative, ad esempio, non si affida a un generico sentimentalismo; è generoso e spesso mette mano al portafoglio di famiglia, ma non ama improvvisare; stabilisce che ogni anno venga redatto e aggiornato un censimento delle famiglie bisognose e delle loro necessità. Sulla scorta di questa ricognizione, verrà quindi steso il bilancio preventivo delle spese, in modo che l'assistenza sia programmata e graduata sulla base delle effettive disponibilità e dei reali bisogni.
Non ha peli sulla lingua, denuncia coraggiosamente scandali e immoralità e ciò gli crea più di un nemico: la polizia, sospettandolo di essere una spia al servizio dei Savoia, gli ritira il passaporto e gli impedisce di tornare a Domodossola.
Nel 1835, un anno dopo la nomina, rassegna le dimissioni da parroco e nel febbraio del 1836, in attesa di ottenere l'autorizzazione a lasciare il territorio del Lombardo-Veneto, ritorna a Milano, ospite del Mellerio. Solo a maggio con un passaporto valido per sei mesi può finalmente tornare al Calvario.
Frattanto in Piemonte il re Carlo Alberto ha idea di trasformare l'antica abbazia della Sacra di San Michele in Val di Susa in un mausoleo di famiglia, nel quale trasferire le salme degli avi e in un' oasi dello spirito per nobili e ricchi borghesi stanchi del frastuono delle cose inutili e assetati di infinito. Intende affidare la cura dell'abbazia ad un ordine religioso e su consiglio dell'arcivescovo di Genova lo propone all'Istituto della Carità. Per rendere abitabile il complesso fatiscente sono necessari imponenti lavori di restauro, per i quali il re assicura il proprio impegno finanziario; inoltre per far rimanere Rosmini in Piemonte, interviene presso il Governo austriaco per prolungare sino a dieci anni la validità del suo permesso di soggiorno fuori dei confini del Trentino. Ottenuta l'autorizzazione del vescovo di Susa, nella cui diocesi si trova l'abbazia, dodici religiosi dell'Istituto della Carità si trasferiscono nell'antico monastero sulla roccia. Ma le difficoltà non mancano: i finanziamenti e i lavori promessi si fanno attendere e la burocrazia piemontese misura gli uni e gli altri.
Nello stesso anno (1836) a Stresa Anna Maria Bolongaro religiosissima nobildonna vende all'Istituto della Carità una casa di campagna, immersa nel verde della collina e degradante dolcemente verso il lago. Qui Rosmini trasferisce la sua dimora abituale nella quale proseguire gli studi, scrivere altre opere, ricevere gli amici, primo fra tutti Alessandro Manzoni che a pochi chilometri di distanza, a Lesa, ha una villa in cui trascorre i mesi estivi. Da qui parte spesso alla volta di Torino, dove stringe nuove e importanti amicizie, come quella con il marchese Gustavo di Cavour, fratello del più celebre Camillo che, di lì a poco, diventerà il grande regista dell'unità d'Italia.
Sono questi gli anni in cui inizia anche l'avventura oltre Manica: di tutte le proposte ricevute, Rosmini sceglie la località di Prior Park nei pressi di Bath dove nel 1835 invia don Luigi Gentili con due confratelli francesi. Ma i metodi troppo severi e troppo "italiani" del Gentili mettono a soqquadro Prior Park; le incomprensioni non finiranno nemmeno quando verrà sostituito con il più diplomatico don Giovanni Battista Pagani. I rosminiani dovranno lasciare Prior Park e il Distretto occidentale, ma resteranno in Inghilterra, in un'altra regione.

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